La scelta della metodica di trasformazione dei corpi protesici è solitamente dettata dalle caratteristiche del corpo protesico stesso (su impianti, scheletrati, con vari ancoraggi e molte altre variabili), dalle resine scelte per le loro caratteristiche chimiche, dalle caratteristiche dell’operatore, dalla moda del momento e dai tempi a disposizione, ma ci sono anche altre motivazioni che possono spingere il tecnico a fare una scelta piuttosto che un’altra.
Ogni tecnico dirà che quella da lui seguita è la migliore. Può non avere tutti i torti, perché vi sono ragioni oggettive e soggettive che l’hanno determinata. Sulla questione soggettiva è oltremodo complicato addentrarsi, ma vi sono dati oggettivi sui quali poter operare al fine di scegliere una metodica di trasformazione più idonea per il singolo caso.
Strumenti e attrezzature per la lavorazione delle resine
Ho potuto verificare nel tempo che la commistione tra la scelta della resina da adottare e lo strumento per la trasformazione hanno creato in non pochi laboratori delle problematiche, risolte poi con l’abbinamento corretto tra la caratteristica chimica della resina e lo strumento dedicato. Ai più questa problematica può sembrare banale ma un confronto “aperto” tra colleghi potrà far emergere quanto detto.
Ogni resina prevede uno specifico trattamento di indurimento o polimerizzazione, che in genere avviene per fotopolimerizzazione, autopolimerizzazione, termopolimerizzazione e termoformatura.
Lo specifico tipo di polimerizzazione ha esso stesso delle variabili, come può essere il rapporto di miscelazione tra monomero e polimero.
Ad esempio, una resina più liquida si presterà maggiormente alla colata/iniezione mentre per una meno liquida sarà preferibile scegliere la zeppatura; l’opacità della resina è una caratteristica importante per l’utilizzo in abbinamento con la protesi scheletrica e non solo. Poi esistono resine a polimerizzazione rapida o prolungata, sistemi combinati (PMMA- Nylon) e altre caratteristiche particolari.
Per quanto riguarda le sistematiche, vi sono le classiche muffole in metallo, i sistemi per colata, i verticolatori, i fotopolimerizzatori, i sistemi ad iniezione etc.
Esiste una metodica migliore?
Non vi è un sistema eletto a migliore in assoluto, ma l’attenzione andrà sull’eseguire la metodica scelta in modo corretto, e abbinare sapientemente il materiale e lo strumento in funzione della protesi che dovrà essere trasformata. Quindi, se non vi sono problemi specifici sul prodotto utilizzato (ad esempio un lotto di materiale con caratteristiche alterate), le difficoltà vanno ricercate nel laboratorio (bolle, protesi non complete dopo l’iniezione, rotture, rialzi occlusali eccessivi etc) e nelle fasi di lavorazione applicate.
L’AUTORE
Mario Schiavi
Senior Product Specialist
Odontotecnico con esperienza quarantennale nel campo della protesi totale. È stato titolare di laboratorio e ha collaborato con prestigiose aziende del settore dentale. Già relatore sui temi della protesi mobile, occlusione funzionale ed estetica è passato ad occuparsi anche del tema dell’odontoiatria digitale con attenzione particolare alle strategie produttive del laboratorio e dello studio.
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